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152 | LA TESTA DELLA VIPERA |
mani nella faccia con tutta la sua forza, raddoppiata dal furore.
Emilio non potè trattenere un’esclamazione di dolore.
— Ah, maledetta!... Tu hai la bellezza d’un angelo, ma gli artigli d’un demonio... Angelo o demonio, io ti soggiogherò.
Successe una ignobile lotta: la povera donna si difese con tutta l’energìa di cui era capace; ma la stanchezza sopravvenne, l’emozione la vinse, il terrore l’invase: a un punto si sentì mancare ogni vigore, si sentì perduta. Mandò un grido acuto, quasi supremo appello di soccorso, e mezzo svenuta s’accasciò fra le braccia del suo nemico.
Egli, con un ghigno di trionfo, la trascinava verso l’alcova.
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Alberto e Cesare facevano galoppare senza interruzione a forza di frustate il cavallo giù per la strada deserta, presi ambedue da un’ansietà angosciosa e da una pungente paura, che s’accresceva ad ogni momento. In tre quarti d’ora giunsero al punto in cui dall’alto d’un poggetto vedevasi la villa: li sgomentò maggiormente, nella facciata scura, la finestra della camera coniugale vivamente illuminata. Poi videro di quella finestra aprirsi le invetrate, e due ombre, che non potevano discernere bene, agitarsi in quel quadro: una di esse Alberto era sicuro che fosse sua moglie. Nuove frustate fecero ancora più precipitare la corsa del cavallo...