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LA TESTA DELLA VIPERA | 151 |
— E chi ti dice che io voglia pregarti? proruppe con fierezza Matilde, riparata sempre dietro la tavola. Senti, Emilio! Fino da bambini, io ho indovinato in te un’anima scellerata. Da ultimo ho fatto forza al mio istinto che mi inspirava per te la più viva ripugnanza. Ho avuto torto... Ora ti odio e ti disprezzo... e piuttosto che subire pur l’ombra d’un tuo oltraggio, preferisco la morte.
— Frasi! frasi!.... Veniamo ai fatti! disse Emilio, che si slanciò verso di lei per afferrarla.
Ella, smarrita, spaventata, si diede a fuggire per la stanza; ed egli a rincorrerla coll’accanimento d’un segugio dietro la preda.
A un tratto l’idea venne a Matilde di salvarsi per la finestra.
Avesse anche dovuto uccidersi cadendo, si sarebbe ad ogni modo sottratta a quello scellerato. Corse, vi giunse; ma le invetrate erano chiuse; la sua mano, per l’agitazione, tremolante; e quando appena era riuscita ad aprire i vetri, il suo persecutore le fu sopra, e l’abbrancò alle spalle.
— O Dio! la finestra! diss’egli con feroce scherno. Che vecchiume! Roba da romanzo di cinquant’anni fa... Via, via, non far pazzìe... Conserva una madre ai tuoi figli... e fa felice, almeno per un’ora, un uomo che fin da bambino ti adora.
Ella si voltò in una specie di parossismo di rabbia, che aveva vinta la paura.
— Lasciami! lasciami! gridò, e gli cacciò le