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148 | LA TESTA DELLA VIPERA |
che aveva dato prova di essere capace dei più iniqui propositi.
— Un minuto: ella disse. Do un’occhiata ai bambini, e poi sono con te.
Prese il lumicino del padre, e corse di là a contemplare i suoi figli, quasi per attingere da quella cara vista nuovo coraggio, sangue freddo e forza. Tornando indietro rinchiuse l’uscio a chiave e questa si cacciò in tasca.
Poteva ora allontanarsi tranquilla. Ma mentre essa passava innanzi all’alcova, una voce sommessa, ma minacciosa, uscì dalle tende.
— Se tu non sei di ritorno qui fra un quarto d’ora, andrò io di là a pigliarti a ogni costo.
Ella rabbrividì; ma non un lineamento della sua faccia si alterò. S’accostò al padre con un sorriso.
— I piccini dormono... Vieni a fare tu altrettanto.
Il vecchio fece di nuovo per alzarsi, e non potè.
— È strana, balbettò con lingua impacciata, mi sento mancare le gambe... Oh come la testa mi pesa!... Ajutami.
Matilde lo prese per le mani e tentò trarlo su; ma egli a un tratto ripiombò di tutto il suo peso sul sofà, e la testa gli cadde sul petto.
— Babbo! babbo! esclamò Matilde, scuotendolo.
Non ebbe risposta; il vecchio immobile, cogli occhî richiusi, pareva morto.
— O Dio! gridò spaventata Matilde, egli è svenuto.