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146 | LA TESTA DELLA VIPERA |
Ma già una mano si era posata sulla gruccia della serratura di fuori e accennava ad aprire la porta.
Emilio si gettò nell’alcova, dicendo a Matilde minacciosamente:
— Taci!... Non una parola... o guai!
E si nascose dietro le tende.
Il padre di Matilde entrò. S’era gettato addosso anche lui una veste da camera e veniva portando in mano la sua lampadina.
— Che cosa t’è capitato? domandò egli con inquieta premura.
— Nulla, nulla; rispose Matilde, gettandosi all’incontro del padre, e quasi cercando impedirlo d’inoltrarsi. Perchè sei venuto?... Scendere così di letto è un’imprudenza... Torna subito fra le coltri.
Ma il padre, insistendo benevolmente, s’avanzò nella camera.
— Non ne soffrirò... sta tranquilla... Come volevi che non venissi, sentendoti chiamare ajuto?... Ma dimmi, che cosa è stato?
— Nulla, nulla; ripetè Matilde. Un sogno... un cattivo sogno... Svegliatami in sussulto, ho gridato senza saper bene io stessa...
Il Danzàno andò a posare il suo lume sul camino.
— E tutti questi lumi accesi?
— Li ho accesi io... per levarmi la paura.
Il padre sedette sul sofà.
— Bene; starò un poco a farti compagnìa.
— Oh! adesso è tutto passato.