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LA TESTA DELLA VIPERA | 145 |
— Grazie della buona stima che hai di me: diss’egli con quel suo odioso sogghigno. Gli ho dato del soporifero che lo farà dormire quieto quieto fino alle otto o alle nove. E vedrai come egli se ne sentirà meglio.
— Babbo! babbo! gridò di nuovo Matilde disperatamente... Oh il mio povero padre!... Voglio vederlo.
Ma Emilio non si tolse dall’uscio.
— È inutile, disse, tanto e tanto non lo sveglieresti; e, se riuscissi a destarlo, gli nuoceresti assai.
— Non lo sveglierò, ma voglio vederlo... Ah babbo mio! babbo mio!
Ed ecco dalla camera vicina la voce del padre risponderle fiocamente:
— Matilde! che c’è!... Hai bisogno di me! Vengo vengo.
Matilde mandò un grido di gioja, Emilio si morse rabbiosamente le labbra.
— Ah! non ha bevuto! mormorò fra i denti.
In quel momento la moglie di Alberto non pensò ad altro, se non che la presenza del padre la salvava da ogni pericolo.
— Oh vieni, vieni, babbo: gridò.
— Che fai? le disse piano, ma con forza, Emilio. Come spiegheremo a tuo padre la mia presenza qui?... Ami forse le conseguenze d’uno scandalo?
— È vero... è vero: mormorò la povera donna. No, no: gridò verso l’uscio, non venire... non scender di letto... vengo io da te...