Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
LA TESTA DELLA VIPERA | 143 |
non sono giunto a questa riuscita senza aver vinto molte difficoltà, e che se ho voluto riuscirci è per ottenere qualche cosa di meglio di un tuo rabbuffo. Ora, che matto o che imbecille sarei, se, appena entrato, mi lasciassi così di piano mettere alla porta?... Oibò! Oibò!... Ci sono e ci resto.
E sedette tranquillamente sul sofà.
Matilde lo guardava con uno stupore che cominciava a farsi inquietudine.
— Sei matto o imbecille a credere che io tolleri più oltre la tua presenza, e stia qui a discuter teco.
E si mosse verso l’altro cordone di campanello che pendeva verso il camino.
Emilio diede in una sghignazzata.
— Ah, ah! la scena da dramma francese. Si suona il campanello; accorre un domestico tanto fatto, come Battista: «Accompagnate il signore.»
Matilde aveva dato una forte strappata al cordone.
— Tu straccerai inutilmente quel cordone, cara mia. Se non isbaglio, hai già suonato dall’alcova... Chi è venuto?... Ebbene, non verranno di meglio adesso. Suonassi fin domani, nessuno verrà... te lo assicuro io.
— Tu hai comprato i miei servi?
— Sicuro! Senza di ciò come potrei io essere qui?
Matilde si slanciò verso l’uscio del corridojo; ma Emilio sorse di scatto, le si gettò innanzi,