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142 | LA TESTA DELLA VIPERA |
cenderò un lume, perchè possiamo vederci meglio in viso... e sederemo sul sofà per discorrere più comodamente.
Sul piano marmoreo del camino stavano due candelabri con quattro candele ciascuno. Emilio le accese tutte, poi si volse di nuovo a Matilde. Questa si teneva stretta al seno la vestaglia colle braccia incrociate ed aveva nel contegno, come in quello sguardo che già era balenato nell’ombra agli occhî d’Emilio, una fierezza sprezzante e indignata.
Era bellissima. La veste lasciava scoperta la base del collo, modellata a perfezione, da cui con tanta grazia si ergeva quella testolina leggiadra e ne appariva un poco del candore quasi abbagliante del petto; le braccia tornite, degne d’una statua greca, uscivano dalle maniche larghe, ricadenti; tutta la venustà della ben formata persona si scorgeva sotto le pieghe di quella veste che l’avvolgeva.
— Dove hai tu presa l’audacia d’introdurti in questo modo, a quest’ora, fin qui? diss’ella severamente.
— Dove l’ho presa? egli proruppe. Nel mio amore, che non solo è sempre vivo, ma è più forte che mai.
Matilde gli troncò la parola con un moto violento, e gridò con forza:
— Non una parola di più... Vattene!
— Andarmene così subito? domandò Emilio con insolente ironia. E puoi crederlo, Matilde? Non riconosco il tuo buon senso. Capisci che