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132 LA TESTA DELLA VIPERA

— No, devo parlare a quel signore da solo a solo.

— Almeno fino alla porta... Là vicino alla casa, più vicino a te, non avrò più paura.

— Ebbene, sia, vieni fin là... ma non cercar d’entrare.

— No, starò fuori: ma se mai qualche cosa capitasse, che so io... potrei chiamarti... e se mai tu sarai lesto ad accorrere, non è vero?

— Sì, certo.

Giunsero al palazzotto. L’uscio era socchiuso. Per la finestra aperta di una stanza a terreno usciva nella notte un fascio di luce; traverso quella luce si vedeva andare e venire l’ombra del Lograve che passeggiava impaziente. Battista fece ancora a voce sommessa una raccomandazione alla Lisa, ed entrò. La stanza dove Emilio aspettava era subito lì a destra. Al passo del domestico Emilio si fermò e si volse verso di lui; era pallido, coi lineamenti contratti; aveva una profonda riga fra le sopracciglia e teneva le braccia serrate al petto.

Nel pomeriggio egli aveva detto al suo servitore che preparasse la valigia per una improvvisa partenza: egli sarebbe forse partito la notte o la mattina seguente, e avrebbe poi scritto dove il servo avrebbe dovuto raggiungerlo.

Rientrato in casa alle dieci, aveva domandato al domestico se i suoi ordini erano stati eseguiti, al che il servo avendo risposto affermativamente, egli lo mandò a dormire, e rimase solo nella stanza a terreno.