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130 LA TESTA DELLA VIPERA


Lisa, uscita dalla camera della padrona, andò a raggiungere Battista.

— Ah, mio caro, gli disse, tutta ancora in lagrime, con accento di vivo dolore, non avrei mai creduto che ad abbandonare la signora Matilde avrei provato tanta pena. Che buona padrona! Che creatura angelica, è quella! Si merita davvero che il Signore le dia del bene.

— Pensiamo al nostro bene di noi, e lasciamo stare gli altri, rispose Battista con impaziente malavoglia. Sei tu pronta?

— Sì.

— Dunque andiamo.

Nella giornata ambedue s’erano fatto un fardelletto delle cose loro più indispensabili e di più valore. Battista aveva in segreto noleggiato un biroccino, il quale doveva trovarsi allestito alle undici a un dato punto della strada di X. I due fuggitivi uscirono pian pian dalla villa, e Battista chiuse a chiave l’uscio dietro di sè.

Quando furono a pochi passi, Battista, deponendo il suo fardello a terra, disse a Lisa:

— Aspettami qui: io vado per una commissione; in cinque minuti mi sbrigo e poi ti raggiungo.

Lisa s’aggrappò al braccio del suo compagno.

— No, non lasciarmi qui, sola, di notte. Ho una paura maledetta.

— E di che cosa vuoi aver paura?... Qui a quest’ora non ci passa nessuno... Ti dico che vengo subito.

— No, no; non ti lascio.