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LA TESTA DELLA VIPERA | 129 |
mestizia le si aggravò sull’anima al trovarsi sola (ed era la prima volta dacchè era moglie) tutta una notte in quella vasta camera, dove aveva passato ore così felici, e dove ogni sera, in confidente abbandono, si versavano amorosamente l’una nell’altra l’anima sua e quella dell’innamorato marito.
Era una vasta camera, in fondo alla quale si apriva un’alcova, dove stava il letto conjugale. Due sole porte erano in quella stanza; l’una comunicava col resto della casa per un andito, nel quale a pochi passi era l’uscio della camera del padre: l’altra porta metteva nelle due camere in cui dormivano i bambini.
Matilde spense il lume e cercò dormire, ma il sonno fu ribelle. Strane fantasìe e bizzarre chimere passavano pel capo di lei, come imagini di sogno, o vaneggiamenti di mente confusa: e in quel turbinoso succedersi di ombre, di scene, di vedute, tornavano più nette ed insistenti, e non sapeva perchè, le memorie del duello di Alberto con Emilio, e la pozione soporifera del padre con quell’odore acuto, e lo sguardo di fuoco, quasi feroce di Emilio: pensò ad una vendetta di quest’ultimo, ma quale? Contro il padre? Contro di lei?... Oh quello sguardo! E a un tratto le vennero alla mente il contegno e le lagrime inesplicabili di Lisa. Finalmente si era oramai a mezzanotte quando Matilde cominciò a sentire il riposo scendere sul suo cervello e sui suoi occhî, e poco stante si addormentò.