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10 | LA TESTA DELLA VIPERA |
— T’abbiamo conservato il posto; gli dissero i giuocatori additandogli vuota la seggiola che aveva lasciata poc’anzi.
— Bene!... grazie! rispose Lorenzo sedendosi. Un taglio e me ne vado... tanto da perdere ancora questi pochi che mi sono rimasti.
E ripose sul tappeto quella manciata di monete che aveva intascate levandosi di là. Seguitò a perdere; giuocò su parola; erano le sette del mattino quando il giuoco cessò e Lorenzo Lograve si alzò da quel tavolo con la perdita delle duemila lire che si era portate in tasca e di altre cinquemila da pagarsi. Camminò lentamente, quantunque l’aria frizzante di quel mattino invernale consigliasse ad affrettare il passo. Aprì l’uscio di casa colla chiave ed entrò. Tutto era bujo e silenzio. Senza accendere il lume attraversò la stanza d’ingresso, un’antisala, un salotto e chetamente venne ad affacciarsi all’uscio di una camera da letto. Le grandi cortine cascavano tutt’intorno al letto e lo chiudevano alla vista; appiedi era stato posto un tavolino con elegante tappeto e sopravi un crocifisso fra due candele accese.
Nessuno fiatava, nulla si muoveva; il luogo parve affatto deserto a Lorenzo che fece alcuni passi innanzi. Allora egli vide alzarsi dall’inginocchiatojo a destra una donna tutta vestita di nero che stava pregando. Era la monaca vegliatrice.
— Ebbene? domandò Lorenzo con voce bassa e quasi esitante.