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100 | LA TESTA DELLA VIPERA |
— Sì, signore; più di sei anni, fin da prima ancora che il signor Alberto si ammogliasse.
— Vuol dire che siete proprio affezionato al vostro padrone?
— Si figuri!... Sono figliuolo d’un suo contadino. Sono nato, si può dire, al servizio di questa famiglia. Siccome il lavoro dei campi mi piaceva poco e il vivere a polenta e acqua mi piaceva niente, mi sono raccomandato al signor Alberto; ed egli credendo, per sua bontà, di vedere in me qualche disposizione a diventare un buon servo di casa, mi prese con sè...
— E vi ci tiene in panciolle, interruppe Emilio ridendo.
— Eh! non ci si sta male certo... Ma ci si stava meglio quando il signor padrone era scapolo.
— Ah sì?
— Poco da fare... parecchie mancie per commissioni delicate... che ora non si fanno più.
— Ah! briccone! sclamò Emilio con un sorriso incoraggiatore, approvatore. E poi, unendosi anche la famiglia della signora, il lavoro è cresciuto di certo.
— Oh! non mi lamento: i padroni son tutti buoni... Madama è un angelo, severa in certe cose, anche rigorosa, ma un angelo!... Suo padre, povero vecchio, che cosa ne può se la sua malattia ci ha dato tanto da fare? Il signor Cesare è una perla... Oh! eccolo appunto.
Cesare entrava; il servo riprese con zelo la sua finzione di spolveramento. Scambiate ap-