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98 LA TESTA DELLA VIPERA

quentazione in casa Nori lo faceva assistere sempre più sovente, a cui anzi egli cercava di assistere con quella fiera voluttà che altri prova nell’inasprire un forte dolore che lo tormenta; lo spettacolo di queste scene accresceva in Emilio l’odio, la rabbia, l’invidia, gli lacerava il cuore così da mandarlo in furore, quando solo nella sua camera egli ripensava ad esse. Allora il tristo malediceva, bestemmiava, si mordeva i pugni, giurava e spergiurava al suo odio che un giorno l’avrebbe la sua rivincita; l’avrebbe a ogni modo, a costo di qualsiasi delitto, a costo di qualsiasi infamia.

Meditava intanto il suo disegno colla pazienza d’un odio eterno e d’una passione maniaca, camminando guardingo per non metter piede in fallo.

Una mattina, Emilio, entrando colla sua solita famigliarità nella camera di Cesare, assente da casa, sorprese il domestico che si faceva un generoso regalo dei sigari del padrone.

— Cesare non c’è? domandò egli, facendo mostra di non aver visto nulla.

— No, signore, rispose il servo, cacciando destramente in saccoccia i sigari e richiudendo la scatola con mano franca.

— Bene; ma non tarderà a venire, perchè eravamo intesi che sarei venuto a quest’ora: lo aspetterò.

E sedette presso la tavola, prendendo un libro e mettendosi a sfogliarlo.

— Come le piace, disse il domestico; e si mosse per partire.