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Deh, cittadini miei, e voi venerabili donne, deh, aprite Io intelletto a considerare questo^ ch’io vi dico. Se il Lucifaro ebbe tanto sapere che cognosceva lo stato suo, e ebbe tanto potere che poteva far bene con libero arbitrio come uno di noi, e ’l volere atto come il nostro, e non si seppe mantenere nella volontà di Dio, che cadde per quella disubidienzia di non volere essere sug- getto a lesa incarnato; oimmè, che faremo noi, che ogni dì caschiamo in uno migliaio di peccati!. Noi sappiamo pure che egli cadde per la colpa sua. E noi come cré- daremo salirvi? Non è la via a volervi salire questa. E’ però vi dico: Timete Deum, timete Deum: — Temete Iddio, vi dico, temete Iddio. — Prodiit quasi ex adipe iniquitas eorum: iransierunt in affectum cordis:^ — La iniquità loro nacque dalla abundanzia, e passò nel desiderio dello af- fetto. — Sai che vorrà dire di voi? Vorrà dire ch’io temo che della vostra abondanzia non segua dietro un grande fragello. Doh, che pensiero m’ è egli venuto 1 Io ho uno pensiero de la vostra pace; e temo che 7ion vi venga doppo la pace una grande guerra. Così dop po la divizia temo che non vi seguiti una grande fame. Come^ doppo il freddo seguita un grande caldo, così doppo una grande tranquillità temo d’ una grande aversità. Io temo, temo, temo, che poi che voi non sapete rico- gnoscere le grazie che Iddio v’ ha date, che elle vi sa- ranno tolte. — Non 1’ hai sapute tenere? E io te le* torrò! — E temo che Iddio non vi facci come fece a Lucifaro, che cadde non sapendo cognoscere la sua feli- cità; che non cognoscendo il dono di Dio, dove era^ 1 Negli altri Codd. si

aprite lo intelletto e considerate a

questo ec. 2 Salmo Ixxij, vers. 7.