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XVIII.

Qui in questa predica si tratta come si deve amare
il prossimo suo; e chi è prossimo.

Diliges proximum tuum sicut te ipsum (Iterum ubi supra). — Amarai il tuo prossimo come te medesimo. — E’ so’, dilettissimi miei, quelle proprie ch’io v’ò dette già più dì, che occorsero la domenica passata. (Doh! io ci veggo una donna, che se ella guardasse a me, non guarderebbe dove ella guarda: attende a me, dico!). lo vi voglio dare insomma quello che voi avete ad amare, e faròvvene una predica1 da portarvela in pugno, come tu debbi amare il tuo prossimo. E prima presuppongo ch’io voglio che tu ami te medesimo, e non parlarò a colui che non s’ama. Questo amare è inteso in diversi modi. Chi ama la robba, chi ama il corpo,2 e chi l’anima. Chi prepone la robba al corpo, non ama; chi mette a pericolo corpo con corpo, ode Jobbe che disse: Pellem pro pelle, nel sicondo cap. Quanto male s’amano costoro che lassano il corpo per avere la robba! Mettenc anco a pericolo il corpo per la robba; non amano loro medesimi, nè anco non ama sè colui che ama più il corpo suo che l’anima. Sai chi è? Chi fa cosa per lo corpo, che l’anima ne patirà poi pena. De’ quali dice Davit profeta: Qui

  1. Il Cod. Pal., predichetta.
  2. Gli altri Codd.: Chi ama la robba., chi ama il prossimo, chi ama il corpo.