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predica vigesimaquinta 293


fare, ma lassanlo fare a’ loro giudici, a’ loro cavalieri, a’ loro notari. Doh, non fare! Fa’ che tu vogli far tu; però dice, rectorem te. E hai il secondo.

Tólle el terzo veleno. El terzo veleno è detto, simonia; dove dice, posuerunt. Non vedi tu, che tu vi se’ sta’ posto da altri? Posuerunt. Sai, quando tu vi ti poni tu? Quando tu vai pregando: — io vorrìa il tale uffizio; — e dirallo, quando a uno e quando a un altro. Non dice così costui. Egli vuol dire, che tu vi sia posto da un altro, e non che tu il vada cercando, e operando con tuoi d’acciecare colui che de’ dare l’uffizio a colui che è buono. O presenti o denari o amicizie so’ quelli che ti fanno avere talvolta gli uffizi; e però non veramente te posuerunt: tu nol meriti. Doh! Vuoi vedere chi so’ coloro che non meritano d’èssare rettori, e se ellino so’, si vorrebbe trarneli? Quando tu vedi uno uffiziale che tranquilla le quistioni1, e non ne traie mai a fine niuna, e del continuo pela ognuna delle parti, questi non meritano niuno degli uffizi. Io so’ stato in un luogo là dove so’ questi ordinamenti: che il rettore díe avere cotanto per lira, e cotanto per fiorino; e così si pela il pòvar’uomo, e anco il ricco. Vedi tu questo prolongare? Egli è uno consumamento. Sai che ne interviene di questi che non vogliono che le quistioni e piati venghino a fine? Quando elli si pone uno richiamo a uno podestà, egli vuole prima il diritto da colui che ha ad avere: sempre se lo’ dona qualche cosa. Simile, colui che ha ad avere, anco gli dà cotanto per lira; e pagati quelli, a lui gli pare avere fatta una buona operazione, e vassene cantando. Colui che gli ha avere non gli ha, ma passasi il

  1. Cioè, che mena a lungo.