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292 | predica vigesimaquinta |
Non so’ fatti come so’ le vostre galline, che non hanno torti gli unghioni, nè ’l becco. O queste fanno dell’uova pur assai! Sai che vuol dire el rettore? Fa dell’uova assai e buone, e ’l rattore non usa altro che rubbare, divorare, scannare: se fai così, ella va di tangari una.
Sicondo veleno è indiscreto crédare, cioè crédare o poco o troppo; che talvolta gli sarà detto e’ modi che si tengono in una città e in una terra dove egli è uffiziale, como se di sodomie, di biastemmie, di giochi e di molto male; e elli il tóca e nol vuole crédare. E anco talvolta gli verrà alle mani uno pesce grosso, el quale ârà a dare a uno póvaretto, e vorallo tenere a piato per non darglieli, dicendo: — io non t’ho a dare nulla. — O rettore del diavolo, che vedi e tochi che questo póvaretto ha avere, e vuoi crédare alle parole di colui che può più di lui. Così d’una vedovella e de’ pupilli che hanno a avere, e tu il vedi e conosci e ’l tocchi con mano, che così è; e tu, per compiacere a colui che può più, non fai che sia pagato il póvaretto che stenta; e a questo modo perisce la giustizia. O rettore, doh! fa’ che tu vogli aitare la ragione, e non ti fidare de’ tuoi uffiziali; vogli vedere e udire ogni cosa tu. Vedi che dice, Rectorem te, dice te, non dice il tuo giudice, nè il tuo cavaliere. Non dice la tua moglie, non dice il tuo figliuolo, non dice tua famiglia. Nè anco dice di colui che ti siffila1 nell’orecchia con sue sottigliezze. Doh, non ti lassare insampognare2, o rettore; vogli vedere e sapere ciò che si fa nella tua corte; chè ho udito che so’ stati tali uffiziali, che non s’impacciano de lo uffizio che eglino hanno a