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predica decimaquinta 371


dentro in te. Sta’ giù al basso; non salire in sul monte del vento della superbia; chè se tu vai lassù, mai niuna opera farai che buona sia: se tu vi vai, tu ruinarai. Doh! Ode quello che è scritto nel secondo libro dei Re: Maladidus mons Gelboë, super quem non veniet ros, neque pluvia:1 — Maladetto quel monte Gelboe (interpretato superbia) sopra il quale non viene rugiada nè aqua. — Tu potresti dire: O prima che venisse il diluvio, già non pioveva egli: come dunque era maladetto il monte dove non pioveva o non discendeva rugiada per bagnarlo? Nè anco pioveva per li piani che li bagnasse: dunque erano maladette le terre? — Rispondoti: Idio abondava alcuna volta dell’anno tanta aqua nei fiumi, che spargevano l’aque sopra della terra et allagavanla, come pure oggi si vede in Egitto certi tempi dell’anno. Ma non comprendi tu quello che ha fatto questo monte della superbia? Ella fece cadere Lucifero di tanto alto luogo, dal cielo impireo infino al centro della terra. Et in che grado scese; chè d’angiolo di luce in tanta grazia di Dio, et in iscurità e bruttura e maladizione di Dio!2 Perchè fu? Solo perchè volse salire su questo monte della siperbia, e farsi simile all’altissimo Idio. E però conchiudo, che non è niuno peccato che si possa fare in questo mondo tanto grande e tanto in dispiacere di Dio, quanto el peccato della superbia. Corruit, et in pallorem, colore mutato, lassum super ancillulam reclinavit caput3.

  1. È il yers. 22 del cap. primo, e dice: Montes Gelboë, nec ros, nec pluvia veniant super vos ec.
  2. Così in tutti i Codd.; ma benchè la mancanza di qualche parola sia evidente, è facile nondimeno a chiunque cogliere il senso del periodo.
  3. Nel nostro testo, dopo queste parole latine, segue una breve lacuna, che non si riscontra negli altri Codd. Manca forse la solita versione del passo, tratto dal cap. xv del Libro di Ester.