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predica decimaquinta 367


È ventoso, pieno di vento; chè tu non credi nè vuoi che niuno ti sia appena pari.

È ruinoso, chè sempre sta in pericolo di minare colui che sta in tale superbia. Donde vengono queste tre cose? Non vengono se non da superbia, et inde hanno il loro principio. La superbia è porta di tutte le tentazioni e di tutti i mali e di tutti i pericoli che mai furono, so’ e saranno in questo mondo. Volta mano: che è opposita alla superbia? È l’umiltà. L’umiltà è porta di tutto il bene che mai si fece o farà1 in questo mondo. Oh, quanto è buona parola! Un’altra volta: per la porta della superbia entra nell’uomo ogni peccato, ogni scellerazione, ogni vizio che si può operare o pensare o immaginare. Per la porta della umilità entra ogni bene, ogni virtù, ogni cosa buona, la quale la creatura può operare in questo mondo. Elle sònno più superbie. Doh! Ode la mala superbia. Sai che dice? Dice: — oh, io ho tante divisioni nel cuore, et anco tutto dì mi ce n’entrano di nuovo, e sempre combattono nella mia mente, nè mai se ne partono! — Non so’ utili se elli non le caccia da se, e tiene la vera e la dritta via. Ma intende a quello che io voglio riuscire: le tentazioni che vengono all’ uomo, non so’ mai a utile dell’anima, se elleno non sònno infine coronose2. Chi vuole essere incoronato, sì vuole avere vittoria nelle battaglie dove esso combatte. E la vittoria mai non la potrai avere senza il combattare; quia non coronabitur, nisi qui legitime certaverit (Iacobus in Canonica sua)3. Per contrario, colui che è umile,

  1. Tutti gli altri Codd. aggiungono, o fa.
  2. Cioè, se da ultimo non procacciano all’uomo corona di vittoria.
  3. Questo passo appartiene invece alla seconda Epistola di san Paolo a Timoteo, cap. ii, vers. 6, e dice cesì: Nam et qui certat in agone, non coronatur nisi legitime certaverit.