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vita del santo xxi


più chi conoscesse Iddio; tanto erano sommersi e sepulti ne’ maladetti e abomineboli vizi nefandi! Gli avevano in modo messi in uso, che non temevano nè Iddio nè l’onore del mondo. Maladetta cecità! In tanto eccesso era venuto ogni cosa, che gli scellerati ed enormi vizi non era più chi gli stimasse, per lo maledetto uso che n’avevano fatto.

Era ne’ sua tempi, che in una città d’Italia era in modo moltiplicato ogni vizio, che andavano infino al cielo, e massime il maladetto e abominando e detestando peccato della sodomia. Erano in modo stracorsi in questa cecità, che bisognava che l’onnipotente Iddio facesse un’altra volta piovere dal cielo zolfo e fuoco, come egli fece a Sodoma e Gomorra.1 Santo Bernardino veduto questo eccesso sì grande, cominciò colle sua prediche a detestare e maledire gli operatori di tanta iniquità, e con maledizioni e terribili esclamazioni nelle sua prediche, fece in modo, ch’egli spense tanto vituperio quant’era in quella città; e fece loro venire in orrore e detestazione questo maladetto e abominato peccato, e non solo quello, ma tutte le specie de’ vizi; ed ebbono tanta forza le sua parole, che purgò non solo quella terra, ma tutta Italia da ogni iniquità, che n’era tutta piena. E partitosi di quella città, ne venne in più città e castella d’Italia. Venendo a Firenze, la trovò molto corrotta ne’ vizi; attese a fare come aveva fatto negli altri luoghi, ch’era detestargli e dannargli; di natura che, sendo i Fiorentini assai bene disposti alla via della verità, dannando ogni vizio nella sua natura, condusse in modo questa città, ch’egli la mutò, e félla, si può

  1. Il sermone XV nel secondo volume delle opere di S. Bernardino è appunto De peccato Gomorrhaeorum.