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vi introduzione

pale. I predicatori del tempo non hanno anima; parole parole reboanti; basta che il popolo resti abbarbagliato e accorra numeroso (il popolo, in ispecie quello minuto, è di facile contentatura); si mira, piú che al profitto, all’applauso. È l’andazzo dei tempi e degli uomini.

Siamo nel periodo aureo dell’eloquenza umanistica. Ambascerie, accademie, anniversari, cerimonie religiose, civili, militari, son tutte buone occasioni per fare sfoggio di erudizione. Il frequente richiamo alla mitologia, il periodo ben tornito, la frase classicheggiante, nascondono una singolare povertà di concetto.

Per quasi tutta la prima metà del ’400 chi ebbe delle preoccupazioni artistiche non usò il volgare, questo serviva alla vita, all’azione, all’ammaestramento; ma appunto per questo, per la sua noncuranza dell’arte, la prosa volgare di quest’epoca trovò ingenua freschezza, spontaneità, vivacità, sentimento — fu arte vera. E sembra quasi inverosimile che gli storici della letteratura, perfino il De Sanctis, non abbiano posto mente a un fenomeno che assunse in quel tempo proporzioni non piccole né disprezzabili.

L’eloquenza umanistica non studia “che cosa s’ha a dire, ma come s’ha a dire... Il letterato non ha obbligo di avere delle opinioni, e tanto meno di conformarvi la vita. Il pensiero è per lui un dato, venutogli dal di fuori, quale esso sia: a lui spetta dargli la veste. Il suo cervello è un ricco emporio di frasi, di sentenze, di eleganze; il suo orecchio è pieno di cadenze e di armonie: forme vuote e staccate da ogni contenuto...”

L’agostiniano fra Mariano da Genazzano, artificioso e vuoto, ebbe l’ammirazione entusiastica di Agnolo Poliziano, Fra Paolo Attavanti venne da Marsilio Ficino paragonato ad Orfeo. Invece san Bernardino non incontrò le simpatie degli umanisti. Il Poggio chiama i nuovi predicatori molestos latratores ac rabulas. Ed era naturale.