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IV

DEL CRITERIO NE’ DISCORSI

Mylord P..., ch’io conobbi questi di addietro in Milano, è veramente uomo di garbo. La sua conversazione mi compensò alquanto della ruvida ed insipida breviloquenza, di che alcuni suoi compatrioti avevano qualche tempo innanzi premiata l’officiositá mia, per modo ch’eglino soli pareva si tenessero per individui della specie umana. Superbia per veritá ridicola.— Ma questa corda non fa al proposito; non tocchiamola adesso.— Eppure mylord P..., con tutta la sua cordialitá, non lasciò di versarmi anch’egli sull’anima una goccia d’amarezza. Non è male che il pubblico ne sappia il come. Erano le undici di sera; e mylord P... stava bevendo meco a quattr’occhi una tazza di tè; e svagandosi d’argomento in argomento cosí alla buona, parlava e diceva cose che mostravano in lui una conoscenza squisita del mondo, una finezza singolare d’intendimento. Di parola in parola si venne finalmente a quella cadenza, in cui una volta almeno ogni dí vanno a sciogliersi i discorsi ed i pensieri degli uomini tutti che non hanno vestito il sacco dell’anacoreta. Cadenza carissima: perché, se tu non sei un brutale, ti sveglia in capo un mondo d’idee tutte leggiadre e gentili; e quando hai rotto il cuore dalla noia, te lo rinfresca di nuova vita.— Or dunque, poiché ci siamo — diss’io,— che ve pare, mylord, delle nostre donne milanesi? Non sono elle care creature? —

Mylord intende perfettamente l’italiano; ma nol parla troppo bene, ed usa d’intarsiarvi talvolta vocaboli inglesi. E però sarebbe una disperazione pe’ grammatici s’io riportassi il dialogo tutto tutto tal quale avvenne. Farò come meglio potrò.— Ebbene, che ve ne pare, mylord? — Egli continuava a bere e taceva. La sua fisonomia d’improvviso s’abbuiò, come se la