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XXVI. AL PRESIDENTE DEL COLLEGIO DI MONTICELLI 235

davvero libertá non può essere dove non sia amor dell’ ordine, dove non sia religioso rispetto alle leggi ed alle istituzioni che ci reggono. Attenendoci di buona voglia a queste, in queste lealmente confidando, di queste alacremente giovandoci, traendone tutte le conseguenze, ci salveremo, io spero, trionfanti, dai nemici interni; la guerra, che per avventura ci sovrasta contro lo straniero, noi la potremo imprendere sicuri della vittoria; e la libertá, che noi vogliamo con tutto il cuor nostro, noi la consolideremo e la consegneremo pura, splendida, ampliata ai figli nostri.

Ma, se lasciamo che la licenza cresca, che non governi chi ha da governare, che non obbedisca chi ha da obbedire, che l’impazienza tenga luogo della prudenza, e voglia conseguire in un giorno solo tutto quello che a maturare vuol tempo e tempo, io non veggo in fondo al futuro che un fantasma esosissimo. Non voglio dirne il nome, perché troppo mi suona orrendo: cerchinlo i miei elettori nella storia del passato, sia in Italia, sia fuori ; lo troveranno dopo qualunque periodo di discordia e disordine sociale.

La prego, egregio signor presidente, di perdonarmi, se mi sono lasciato andare ad aprire un pochino l’animo mio con lei e, per di lei mezzo, coi miei elettori; ai quali vorrei pure di qualche maniera esser noto, anche prima che la fortuna mi dia di visitarli e ringraziarli in persona.

Mi giovo intanto di questa occasione per presentare a lei, egregio signore, le assicurazioni rispettose della mia stima.

Di Pegli, 24 ottobre 1848.