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parte ha ragione. E se la vergogna può in noi qualche cosa, vaglia questa volta ad avvertirci come gli stranieri ci tengano l’occhio addosso, e come ci convenga camminare con prudenza e saviezza, onde non sieno da essi ricantate all’Europa le nostre turpitudini.

L’ultima volta ch’io fui in Italia, e saranno forse dieci anni—cosí dice alla pagina 224 il signor Niemand,—mi fermai lungo tempo in Milano. Ho veduto ivi agli ingegni nascenti strozzarsi dagli anziani le parole in bocca, la riputazione de’ provetti lacerata da’ provetti. Ho veduto ivi una lega di letterati mischiare insieme con perfide arti la fede letteraria alla fede religiosa e morale, per modo da far scontare con pene civili le innocentissime opinioni letterarie ai disgraziati ch’erano in odio alla lega. Ho veduto un uomo, che per altro godeva molto credito presso alcuni, il signor Lamberti, stabilire perfino questo assioma e stamparlo nel Poligrafo: che chiunque contraddicesse ad un’opera o ad una sola sentenza letteraria d’un pubblico professore nominato dal sovrano, contraddiceva al sovrano medesimo ed era ribelle alla sovranitá. Non credo che il governo sancisse allora in diritto queste massime di tirannia. Che importa? Il solo pronunziarle era un’offesa alla ragione de’ buoni.

Ma la piú tranquilla saviezza degli attuali governi d’Italia mi fa certo che i costumi dei letterati italiani sieno ora cambiati in meglio. Ed io me ne rallegro davvero colla terra bella e gentile che avrei invocata da Dio per patria mia, se l’uomo potesse prima di nascere invocar la patria ch’egli vorrebbe.

Giovinsi dunque santamente della nuova fortuna i letterati. Trattino le loro quistioni con quell’ardore che viene dall’anima innamorata del vero; ma non s’irritino delle opposizioni. Tutte le veritá letterarie e scientifiche hanno dovuto aprirsi la via attraverso ostacoli infiniti. Ma se una generazione bestemmia contro il Galileo e lo imprigiona, la generazione che siegue non si cura di sapere i nomi de’ bestemmiatori, e corre a Firenze a baciar piangendo il sacro dito del Galileo.

«Via sapiens plebem suam erudit». E voi, o letterati d’Italia, fate partecipe della vostra dottrina la plebe vostra. E se la plebe vi vuol dettare essa leggi e dottrine, lasciatela fare pazientemente; ma non pigliate consiglio che da voi o dai piú sapienti di voi.