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Vili LE FANTASIE AGLI AMICI MIEI IN ITALIA Nell’atto di mandare allo stampatore la presente romanza, mi sento suggerita da taluno la convenienza di farle precedere almeno qualche parola di prefazione, ov’io m’ostini a non volerla provvedere di note, come a tal altro pareva che bisognasse. E nondimeno mi sa male anche dello schiccherare una prefazione, massime non occorrendo a me cose da dire in essa che vagliano la carta su cui scriverle. Pigliale come vuoi, poco su poco giu, note o prefazione m’hanno faccia di pedanteria nel caso mio; né vorrei che si credesse ch’io attribuissi al poemetto piú d’importanza che non gli si compete. Ma come si può egli far netto netto a modo proprio, e ributtare del tutto un consiglio che si sa non essere che la parola d’un benevolo? come trovare quella pertinacia con cui resistiamo talvolta alle ragioni; trovarla, dico, per resistere al bisogno di parere creanzati? A sbrigarmi in qualche modo da una siffatta perplessitá, ho afferrato come buon ripiego un suggerimento dell’animo mio, quello di rivolgermi a voi, dilettissimi, e d’ indirizzarvi, come fo, questa mia lettera tutta confidenziale. Scritta come vien viene, come se riassumessi per un momento ancora una di quelle tante chiacchierate con voi a cuor largo, senza rigore di proposito, senza intento letterario, delle quali componevasi la nostra conversazione (perdita questa delle piú amare che m’abbia costato l’esilio),