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Chi di sua dignitá conscio in suo core, pur vinto da la passion scendea a dir sue pene, a palesar l’amore con donna che di lui poi si ridea, immaginar sol può quanto ’livore, quanto assenzio la tua anima bea, miserabil Guiscardo, or che delusa la speme tua, te d’avvilito accusa. Giá da le sacre torri undici volte destossi il bronzo a dir la nuova aurora; ed altrettante al grido de le scolte rispondea il pescator da la sua prora, vogando con la preda e le raccolte nasse dal loco u’ vede imbrunir l’ora; e in tanti di mai non mostrossi altrui, mai non ruppe Guiscardo i pensier sui. In tanti di mai non mandò una sola voce che fosse di lamento o d’ ira, mai non disse al suo paggio una parola; e si pur sempre intorno gli si aggira quel meschinello, e il tenta, e lo consola, come pietá del suo signor gl’ inspira, or d’un motto, or d’un guardo: e nulla giova. Tace Guiscardo, e nulla è che lo muova. Ma quel non è il silenzio che talvolta soavemente indice ai nostri sensi l’anima, ond’ella d’ogni cura sciolta per l’infinito si divaghi e pensi. È il silenzio che tristo in su l’incolta sommitá del Vesuvio a posar viensi, e piú bollono intanto entro la cava látèbra i gorghi dell’orrenda lava.