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I VISCONTI e gli stenti narrar degli animosi, e le pene d’amor; forse dai marmi darian lamenti Possa impietosite per la memoria dei comuni affanni. Solo coi suoi pensieri e colla notte errava il vate; e rimembrando gli anni candidi e il regno dell’estinto amico, lagrimava la incolta alma ritrosa di Barnabò spietato, ed il presagio delle lunghe agonie orride, in cui compiacersi dovea del sospettoso Galeazzo la fredda indol maligna. Quando rotti i pensieri udia dal campo, e per la cheta oscuritá mugghianti repente i tuoni, e un lamentar di voci cui dalla selva rispondeano i lupi. Si risté l’atterrito; e l’ansio sguardo protendendo, vedea stormi di gufi alle frondi d’un elee ire e redire, e in negri panni appiè della solinga elee due donne spaventose e sozze. Vedea l’una squassar teda lugubre, e tutte illuminar l’ire d’inferno che le sedean sul volto. Irta le chiome, parea l’altra dal sen trarsi a man piene grumi di sangue, e crani infranti, e guasti scettri e pugnali, e riempirne un’urna che le spolpate sue braccia gravava. Brutte ad entrambe ribollian le labbra di verde bava e di bestemmie. Entrambe intorno intorno furiando al tronco agitavan la bruna urna le dive, ed ulular s’udian carme di morte. — Mesci i negri destin, mesci, o sorella. Assai per le virtú d’Azzo e Giovanni ebbe da noi perdon l’empio colúbro. Assai, bella cittá, sotto il servaggio curva, scontasti di quei due l’amore, che ti fur padri. Ma se te, infingarda, piú non muove l’ardir che a Federigo