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IL CONTE ALARCO
Piegò in terra le ginocchia,
orò a Dio, cosi dicendo:
— O Signor, l’anima mia
nelle mani tue commendo.
Non guardar, nel giudicarmi,
quello ch’io mi son mertata,
ma la gran misericordia,
la tua grazia interminata.
— O buon conte, l’orazione,
eh’ io sapea, finita eli’ è.
Raccomandovi que’ figli
che tra voi s’è avuti e me.
E per me pregate Iddio
fin che vita Egli vi dá:
questa indegna morte mia
un gran debito ven fa.
Qua porgetemi il piccino:
per commiato ei può tettar.
— Noi destate no, contessa:
gli è addormito, noi toccar.
Sol di chiederv’ io perdono
riman tempo: ornai vien di.
— Per l’amor che v’ ho portato,
conte, a voi perdono io, si.
Ma né al re, né fo all’infanta,
figlia sua, perdono egual.
Vo’ ch’entrambi sien citati
al divino tribunal.
Lá compaiano in giudizio
dentro il gir di trenta di. —
Ella fea queste parole,
quando il conte si allestí.
Le tirò fin giú alla gola
un zendado ch’ella avea;
la serrò con le due mani,
con la forza che potea;