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V
Eran quelli i di santi ed amari (io),
i di quando il fedele si atterra
ripentito agli squallidi altari,
ove l’inno lugubre disserra
le memorie dei lunghi dolori
con che Cristo redense la terra.
Lá, repressi i profani rancori,
offerimmo le angosce a quel Dio
che per noi ne pati di maggiori.
Poi, gemendo il novissimo addio,
surse, e Torme de’ suoi sacerdoti
taciturna la turba seguio.
Quei ne trasser lá dove, remoti
dai trambusti del mondo e viventi
nel piú caro pensier de’ nipoti,
sotto il salcio dai rami piangenti
dormian gli avi di Parga sepolti,
dormian Possa de’ nostri parenti.
Qui, scoverte le fosse e travolti
i sepolcri, dal campo sacrato
gli onorandi residui fur tolti.
Ah! dovea, su le tombe spronato,
il cavallo dell’empio quell’ossa
a’ ludibri segnar del soldato?
Da pietá, da dispetto commossa
va la turba, e sul rogo le aduna
che le involi alla barbara possa.
Guizza il fuoco: all’estrema fortuna
de’ suoi morti la vergin, la sposa
i recisi capegli accomuna.
Guizza il fuoco: la schiera animosa
de’ mariti il difende, e appressarse
la vanguardia dell’empio non osa.
Guizza il fuoco, divampa; son arse
le reliquie de’ padri, ed il vento
giá ne fura le ceneri sparse.