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Quando il conte si fu accorto
che risposta non v’è, no,
in Parigi ei fé’ l’entrata
e a palazzo cavalcò.
Salutò lá i grandi, e andava
per baciar la mano al re.
Bieco, acerbo, il re guardollo,
e a baciar non gliela die’;
e in minacce prorompendo,
baldo assai, diceal fellone:
— E in Parigi entrar com’osi,
dopo tanta tradigione?
Giuro a Dio per la mia vita!
maraviglia è singoiar,
se al veder tant’ arroganza
non ti fo discapezzar!
Se non fosse che mia figlia
ti ho sposata, e a lei cosi
torrei fama, la giustizia
saria fatta dentro il di. —
Per sua pena e esempio altrui
fuor del regno il re lo serra.
Gli dan termine tre giorni,
dentro i quai votar la terra.
Tal del bando era il cartello:
«Gente ei no, non meni via:
cavalieri né creati
non gli faccian compagnia.
Né cavai si porti o mula
su cui possa porre arcione:
lasci addietro ogni moneta
d’or’, d’argento e fin d’ottone».
Udi ’l conte; e qual si stesse
vel potete immaginar.
Com’uom fuor d’ogni speranza,
pigliò franco a replicar: