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ne provengono se non piú o meno mediatamente. La semplice, continua, ingenua e, dirò cosi, giovenile bellezza delle prime rende ben presto il lettore assorto e contento in quella innocenza; per modo che lo disgustano poi le pretensioni retoriche, il fiorito concettizzare onde talvolta riescono screziate le seconde. Nelle prime è la natura che, tutta spontanea, senz’esser consapevole d’alcun artificio, s’è trasformata in poesia. Nelle altre è ancor sempre la natura, ma che giá bene o male ha imparato a mirare di tanto in tanto ad un effetto, a cercare i mezzi con cui conseguirlo. Nelle prime la poesia, per cosi esprimermi, è tutta d’ istinto: nelle altre accanto all’ istinto comincia a spuntare l’intenzione. Si nelle une che nelle altre è sempre il popolo che poetizza: oscuri, senza nome veruno gli autori delle une e delle altre; ineducati gli uni, ineducatigli altri; ma questi altri volenti a quando a quando pavoneggiarsi d’un qualche cencio lasciato cadere tra via da un poeta educato, ingegnarsi di arieggiare il dotto. E il tanto raro e tanto famoso Romance ro generai (Madrid, 1604 e 1614) non è in gran parte che una serie di documenti di questa degenerazione della vera poesia popolare; per non dire nulla delle molte romanze in esso contenute, le quali sono evidentemente fattura di poeti letterati, livida o esagerata falsificazione di sembianze che la natura sola sa creare, ma che l’arte e le scuole non possono imitare mai bene, come non mai bene l’uomo di corte imita l’innocenza del contadino, e tutt’al piú la ritrae in caricatura. Dalla quale incapacitá dell’arte venne forse da ultimo, per viziosa logica, l’ aristocratico disprezzo con cui ella guardò tutte queste cantilene del popolo; quando invece ne doveva venire a lei un’occasione di bel confronto, una conferma de’ piú alti trionfi ch’ella aveva saputo guadagnarsi. Umili parentele, per rinnegarle, non si disfanno; e non all’arte certo toccava di maledire il terreno sul quale ella ha potuto poi germogliare, crescere, perfezionarsi, appassire. Limitando ad ufi breve spicilegio il lavoro mio, senz’ altra intenzione che quella di ordinare insieme come un mazzolino di tutti bei fiori novelli da ricreare l’occhio, e non di comporre a modo de’ botanici un erbario da servire alla scienza, io non