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Pietro Bembo - Rime


nel mille cinquecento e dieci avea
portato a Marte il ventesimo giorno
Febo, e de l’altro dì l’alba surgea,11

quando al Signor de l’universo piacque
far di sì dolce pegno il mondo adorno,
e ‘l chiaro Federico a noi rinacque.14

XLII.

Se dal più scaltro accorger de le genti
portar celato l’amoroso ardore
in parte non rileva il tristo core
né scema un sol di mille miei tormenti,4

sapess’io almen con sì pietosi accenti
quel, che dentro si chiude, aprir di fore,
ch’un dì vedessi in voi novo colore
coprir le guancie al suon de’ miei lamenti.8

Ma sì m’abbaglia il vostro altero lume,
ch’inanzi a voi non so formar parola
e sto qual uom di spirto ignudo e casso.11

Parlo poi meco e grido e largo fiume
verso per gli occhi, in qualche parte sola,
e dolor, che devria romper un sasso.14

XLIII.

Lasso me, ch’ad un tempo e taccio e grido
e temo e spero e mi rallegro e doglio,
me stesso ad un Signor dono e ritoglio,
de’ miei danni egualmente piango e rido.4


Letteratura italiana Einaudi 26