dunque hai di me la parte maggior tolta,
e l’altra sprezzi? O forte
tenor di stelle, o già mia speme, quanto45
meglio m’era il morir, che ‘l viver tanto!
Deh non mi lasciar qui più lungo spazio,
ch’io son di sostenermi stanco e sazio.
Sovra le notti mie fur chiaro lume
e nel dubbio sentier fidata scorta50
i tuoi begli occhi e le dolci parole.
Or, lasso, che ti se’ oscurata e torta
tanto da me, conven ch’io mi consume
senza i soavi accenti e ‘l puro sole:
né so cosa mirar, che mi console,55
o voce udir, che ‘l cor dolente appaghi
né mica in questo lamentoso albergo,
lo qual dì e notte pur di pianto aspergo,
chiedendo che si volga e me rimpiaghi
morte, né più da tergo60
lasci, e m’ancida col suo stral secondo:
poi che col primo ha impoverito il mondo,
toltane te, per cui la nostra etade
sì ricca fu di senno e di beltade.
Avess’io almen penna più ferma o stile65
possente agli altri secoli di mille
de le tue lode farne passar una;
che già di leggiadrissime faville
s’accenderebbe ogni anima gentile,
e io mi dorrei men di mia fortuna,70
e men di morte, in aspettando alcuna
vendetta contra lei da le mie rime.
E per chieder ancora, o se ‘l mio inchiostro,
Mantova e Smirna, s’avanzasse al vostro
tanto, che non pur lei la più sublime75
in questo basso chiostro,