sono al morir? un dardo150
almen avesse et una stessa lima
parimente ambo noi trafitto e roso;
che sì come un voler sempre ne tenne
vivendo, così spenti ancor n’avesse
un’ora et un sepolcro ne chiudesse.155
E se questo al suo tempo o quel non venne,
né spero degli affanni alcun riposo,
aprasi per men danno a l’angoscioso
carcere mio rinchiuso omai la porta,
ed egli a l’uscir fuor sia la mia scorta.160 E guidemi per man, che sa ‘l camino
di gir al ciel, e ne la terza spera
m’impetri dal Signor appo sé loco.
Ivi non corre il dì verso la sera,
né le notti sen’van contra ‘l matino;165
ivi ‘l caso non pò molto né poco;
di tema gelo mai, di desir foco
gli animi non raffredda e non riscalda,
né tormenta dolor, né versa inganno;
ciascuno in quello scanno170
vive e pasce di gioia pura e salda,
in eterno fuor d’ira e d’ogni oltraggio,
che preparato gli ha la sua virtute.
Chi mi dà il grembo pien di rose e mirto,
sì ch’io sparga la tomba? o sacro spirto,175
che qual a’ tuoi più fosti o di salute
o di trastullo, agli altri o buono o saggio,
non saprei dir; ma chiaro e dolce raggio
giugnesti in questa fosca etate acerba,
che tutti i frutti suoi consuma in erba.180 Se, come già ti calse, ora ti cale
di me, pon dal ciel mente, com’io vivo,
dopo ‘l tu’ occaso, in tenebre e ‘n martiri.
Te la tua morte più che pria fe’ vivo,
anzi eri morto, or sei fatto immortale;185