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Pietro Bembo - Rime

quant’è ‘l peggio far qui più lungo indugio,
115s’uom de’ perdere in breve il suo refugio
dolce, e poi rimaner a pena e scempio.
O vecchiezza ostinata ed infelice,
a che mi serbi ancor nuda radice,
se ‘l tronco, in cui fioriva la mia speme,
120è secco e gelo eterno il cigne e preme?
Qual pianser già le triste e pie sorelle,
cui le treccie in sul Po tenera fronde
e l’altre membra un duro legno avolse,
tal con li scogli e con l’aure e con l’onde,
125misera, e con le genti e con le stelle,
del tuo ratto fuggir la tua si dolse.
Per duol Timavo indietro si rivolse;
e vider Manto i boschi e le campagne
errar con gli occhi rugiadosi e molli;
130Adria le rive e i colli
per tutto, ove ‘l suo mar sospira e piagne,
percosse, in vista oltra l’usato offesa;
tal ch’a noia e disdegno ebbi me stesso:
e se non fosse che maggior paura
135frenò l’ardir, con morte acerba e dura,
a la qual fui molte fïate presso,
d’uscir d’affanno arei corta via presa.
Or chiamo, e non so far altra difesa,
pur lui che, l’ombra sua lasciando meco,
140di me la viva e miglior parte ha seco.
Ché con l’altra restai morto in quel punto,
ch’io senti’ morir lui, che fu’ ‘l suo core;
né son buon d’altro, che da tragger guai.
Tregua non voglio aver col mio dolore,
145infin ch’io sia dal giorno ultimo giunto;
e tanto il piangerò, quant’io l’amai.
Deh perché inanzi a lui non mi spogliai
la mortal gonna, s’io men’vesti’ prima?
S’al viver fui veloce, perché tardo


Letteratura italiana Einaudi 90