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enendo a pubblicare la Relazione che accompagnava il progetto di facciata del Duomo di Milano, da noi presentato a pubblico concorso1, non siamo minimamente mossi dall’intento di attirare su di un nostro lavoro la particolare attenzione di chi s’interessa all’arduo problema; altro intento, più elevato, ci consiglia a ciò, ed è il desiderio di apportare al complesso delle idee e delle opinioni, che tratto tratto si risvegliano intorno tale argomento, il contributo di indagini o di convinzioni cresciute o rafforzate nello studio pratico del soggetto; e ciò perchè quel complesso di idee vada sempre più districandosi dalla pastoie di criterii troppo scolastici, si sottragga ad opinioni, le quali, perchè facili e diffuse, tentano accaparrarsi l’autorità di tradizione; perchè insomma il difficile problema si affini sempre più sotto l’azione di una critica minuta e spassionata.
Che, se uno spirito d’ambizione ci spingesse in tale proposito, questo sarebbe solo di mostrare, a buon diritto, come chi aveva scritte queste pagine non si meritava in verun modo l’accusa, leggermente lanciata da un critico2, aver tutti i concorrenti al