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DI ANAXARETE,

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     Di cui simil non hà Baccho, ne Apollo,
     Possente ad alligar Tigre arrabbiata,
     Mai non sciogliendo il nodo stretto avinto,
     Fuor di mercede in dolorose pene
     Tener non denno un'alma, un core afflitto,
     Questa fronte più assai che il Ciel serena,
     Che può acquetar il mar, spengnere i tuoni,
     Atta à pacificar rigidi venti,
     Le procelle, ch'Amor sempre ne adduce,
     Perche turbata oime, perche turbata,
     Qual spesso ne la fiamma alma mia veggio
     Raddoppia in noi le tempestose piogge?
     Ne i belli occhi, ond'Amor sue faci accende,
     Che son di questo altro hemispero stelle,
     Cosi legiadri, cosi vaghi, e chiari,
     À danno nostro, ad immortal supplicio,
     Dal Ciel dati vi son oscuri e foschi
     Col lor vivace, e lucido splendore,
     Con che vincete il Sol, quando più chiaro
     Di nulla nube ha i bei raggi velati,
     Dovete il giel d'un paventoso amante,
     Quando al vostro apparir dentro e di fuori
     Tutto cangiato, d'amoroso giaccio
     Tremar vedete sbigotito e smorto,
     Spegner benigne et rinovar sovente
     La mente morta, la speranza frale


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