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DI ANAXARETE.

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     Uscendo fuor del carcere terreno
     Dietro questo felice almo pensiero,
     Un lieto sguardo, una serena fronte
     Vince l’acceso, e lampeggiante Cielo
     Per veder Leucothea gia il biondo Apollo
     Parti più volte, anzi che tempo fosse,
     Da la sublime, alta real sua corte.
     Giove, da cui ogni ben nostro viene,
     Signor di quanto imaginar si puote,
     Per provar la dolcezza alma, et eterna,
     Che da i frutti d’amor nasce, e risorge,
     Deposte le corone e l’alto scettro,
     Dal Ciel ove dolcezza egual non era,
     Più volte in terra sconosciuto scese,
     Cigno, Tauro, Pastor, Aquila, fuoco.
     Ne per vil sdegno, ò per timor d’infamia,
     Quella che tien lo imperio, de la terra,
     Per lo diletto amato Endimione
     Che ne le belle, e delicate braccia
     Nel monte Latmo addormentato havea,
     Negò lasciar il suo stellato albergo.
     Ne per l’antico suo fido Tithone
     Cinta di rose la purpurea fronte
     À prieghi del famoso cacciatore
     La vaga Aurora si mostro ritrosa,
     Chi non sa Marte bellicoso, e fiero


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