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DI ANAXARETE.

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     Disprezza l’arco, le facelle, il foco,
     Ne mai pietosa è chi per lei se’n muore,
     Cangia la iniqua scelerata voglia.
     Che se com’Iphi ogniun col laccio al collo
     Pender sovente non si legge, ò vede,
     Non è ch’amante, che non sia gradito,
     Dir non si possa vivendo morto,
     Anzi s’il ver non è dal volgo oppresso,
     Che com’il cor, hà gli occhi infermi e bassi,
     À un fiero sdegno, à un riguardar altero,
     À un non curar de le, impromesse false,
     Ad ogni altro crudel atto spietato
     Qual tutti sa chi mal amando vive,
     Qualhor à questo, et à quel altro pensa,
     Tante volte invisibil muore, et vive,
     Del cui, poi ch’aspettando in vano amenda,
     Ha prolungato la vendetta il Cielo,
     Col pro, chel suo tardar pietoso adduce
     Assai pena maggior compensar suole,
     Ne giova il pentir tardo, il scusar vano,
     D’un breve falso fuggitivo honore,
     Con che il chiaro del vero amanta e cuopre,
     (Quanto val rio costume esser prescritto)
     À tutto il mondo il volgo scioccho gl’occhi,
     Che già ha cotal opinion fermata,
     Che rendersi à chi v’ama odiose, ò rie,


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