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LA FAVOLA

     Più già di mille volte à la foresta,
     Iphi non visto, ne sentito, à pena
     Fuggiron, come cerva can veloce,
     Come colomba, cui il timor cresce ale,
     L’augel di Giove spaventata fugge.
     Indarno il volto di girar provossi,
     Dal qual sempre à suoi danni oscuro e fosco
     Come pungenti, e velenosi dardi,
     Contra Iphi uscian rabbia, furore, et ira,
     Al fin indarno tutto il corpo volse
     Schifare, cui à poco à poco il sasso antico,
     Che già gran tempo il petto oppresso havea
     Di conforme color di vista eguale,
     Il viso, il petto, et ogni membro avinse,
     Et restò certo indubitato sasso,
     Non altrimenti al volto di Medusa,
     Che Perseo vincitor da la man manca
     Indietro volto con la destra stese
     Il ricco Atlante di superbia pieno,
     Nel monte al corpo disusato eguale,
     Che con le stel il Ciel regge e sostienne,
     Pria che s’accorse, fu cangiato in tutto.
Qual deve questo esservi esempio chiaro,
     Ò del mio cor, ò del mio ben reina,
     Quali à ingannar li semplicetti cori
     Di qualunque d’amor dura e rubella,


Di