Pagina:Bellentani - La favola di Pyti, 1550.djvu/74


LA FAVOLA

     Fece la porta? quante notti giacque
     Al fiero Vento, à le Pruine, al Gielo,
     Su’l Terren duro? quante volte pianse
     Et fece oltraggio con parole conte
     (Come d’Amanti era l’usanza anticha)
     À la ferrata, e inessorabil porta?
     Cosa insomma non fù che per piegare
     L’Animo altier, d’ogni pietà rubello,
     Non tentasse il meschin, ma tutto in vano,
     Ch’ella più fiera che turbato Mare
     Da procellosa pioggia combattuto:
     Via più del ferro, che’l Norico fabbro,
     Ne l’ardente fornace purga, e coce,
     Et più del sasso che da tronco vivo
     Di non svelte radici sia tenuto,
     À cotai prieghi, à così pura fede,
     À sì lungo servir, non più si move,
     Che in mezo’l Mare immobil scoglio suole,
     Immobil scoglio, che d’intorno l’onda
     Sempre più forte de la nona abbatte,
     E d’alto monte Ruinosi sassi
     Spinti da le spumose acque profonde
     Urtano indarno, e scoterlo non ponno;
     Così crescendo l’ostinata rabbia
     Come humiltà in altrui, quasi che poco
     Fossero i portamenti, aspri, e crudeli,