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LA FAVOLA

     Del divoto mio cor, del mio servire,
     Et di cosa cercar ch’a lei gradisse.
     Questo dunque è l’error, se perche sia
     Picciolo et nulla, per minore anchora
     Si trova che voi Dei (fiere sentenze
     Et non conformi à la pietà del Cielo)
     Havete in terra à stratio horrido, e a scempi
     Condotti mille che non n’eran degni.
     In che peccò d’Autonoe il buon Figlio
     Che de i suoi proprij can fù preda ingiusta?
     Vide Dittinna senza veste à caso,
     L’odor seguendo de le fiere, e i boschi,
     Sol di quel suo disio semplice havendo,
     La mente ingombra, à disgombrar gli affanni.
     Che fè Tiresia l’infelice vate,
     Che visse à guisa d’orbo senza lume?
     Già non è ver ch’egli à si grave scempio
     Fusse dannato, per haver già data
     Sentenza ch’à Giunon tanto spiacesse,
     Men fallo ei fece, se di fallo nome
     Merta, poi che Minerva vide, mentre,
     La Gorgonea lorica à terra posta
     Igniuda era in un fonte. Alettrione
     Di Marte gia compagno et fido amico,
     Come per poco fallo anch’ei divenne
     Crestato augel, che à l’hora matutina