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LA FAVOLA |
Non creder ch’i non sappi, come cinto
Porti il Cesto fatal, ch’è si possente
Ornamento al tuo corpo in terra e’n Cielo,
Anzi quel giogo, ò laccio, ò quel flagello
Ch’al collo altrui ponendo, ò con suoi colpi
Percotendo tallhor chi accender cerchi,
Subitamente il lega, et prende, et vince.
Tali hà seco celesti alte lusinghe,
Tal’é di quel divin Nettare asperso,
Et tal spira possanza et gran malia
Da tor ai cor arbitrio et libertate,
Da mitigar non pur rapidi fiumi
ma venti irati et tempestosi mari.
Tutta s’empi di gioia à tai parole
La bella Citherea, vedendo il cauto
Figlio schifar l’altrui vantaggio, et mentre
Pur vista ella facea di voler seco
La pretiosa Zona al corpo cinta,
Instando più che pria, l’alto Cupido,
Madre (soggiunse) hor pon senz’altro indugio
Pon, dico, il caro tuo legame, avolto
Nel caldo seno, et dei saper ch’è chiaro
A me, com’à ciascun, che per Virtute
Del possente monil; più volte hai posto
In fiamma Giove, allhor ch’egli era un ghiaccio
Nel’amor di Giunon, ch’à tal’effetto