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LA FAVOLA |
Che ’l mar pe’ liti suoi volge, e rivolge
Se di lieve cagion, odio li punge
Dal lato destro Borea, Austro al sinistro,
In somma Enna, di fior madre gioiosa
La millesima parte in se non have,
Ne Flora imaginar poria Vaghezza
Cotal che pari à lei fusse, ò seconda.
Sonvi più gli arboscei, che ’n ciel non sono
Stelle fisse od erranti, ò pesci in mare,
Et augelli pur tanti et si diversi,
Che diversa harmonia s’ode, quallhora
Cantan con amorose et dolci note
Per questi e per quei Rami, che’n udirli
Angelico sembrar celeste canto,
Ponono queti sonni, e si sottragge
L’alma à se stessa, più che ’n mar faria
S’ivi udisse cantar dolci Sirene.
Cosa quivi non e, che sol d’Amore
Non parli, e gli augelleti, e i muti pesci
A i canti et al guizzar, par che consiglio
Prendano sol d’amar, ogni radice
Felicemente nel suo amor godendo
Co’l egual tronco vagheggia e vive.
L’hora che i rami crolla, et fa le frondi
Con spesso mormorio, quasi risposta
Dar’à i dolci suoi fiati, mostra aperto