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LA FAVOLA

     Fa, che nel tempestar de l’aria desti
     Non pur fuor gli animai de i lor ovili,
     Ma tutti habitator di boschi al Cielo
     Levar la vista,rimirando il fine
     Del turbato seren, et Pan tra gli altri
     Sventurato destossi, et gia per sogno
     Gran parte del suo mal veduto havea,
     Veduto havea per tristo augurio svelta
     Pianta dal fondo in mille parti rotta,
     Ripercossa dal vento et poi bagnata
     Di molta acqua cader, qual tronco suole
     Che da stello natio ferro recida.
     Onde svegliato e ’l Ciel visto confuso,
     Quasi dal sogno fatto in ver presago
     Del suo danno mortal, da gli occhi il sonno
     Sonnachioso con man prese à levarsi,
     Et la dove il tumulto ognun trahea,
     Corse egli anchor, si come Can che spia
     La fiera in odorar le stampe impresse,
     O come tigre che de cari pegni
     Voto il letto trovato, piu leggiera
     Del Zephiro marito la grande ira
     Sparsa mostrando in volto et ne la pelle,
     L’accorto rubator fugace apprende,
     Se da la propria forma non beffatta,
     Ch’egli piu volte le appresenta et porge