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DI PYTI.

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(Piu che non son nel dir presto et veloce)
     Al mio regno faro vederte giunta.
     Et tu sai ben che non si rato vola,
     Com’io, saetta, che per arco è pinta,
     Ne gia com’io, spiegar si vede augello,
     Le penne al ciel benche timor lo sproni,
     Et sia pur quegli, che piu d’altri al sole
     Fisa suoi lumi et ne le piaggie d’Ida
     Fe del garzon gentil l’alta rapina,
     Ah Pyti et pur tu fuggi, gia non sono
     Fera io vorace, che si come á Tisbe
     A te morte minacci, io non sono angue,
     Che morder cerchi le tue vaghe piante,
     Amante io son, che per amarti io vengo
     Dietro l’orme, che lassi à gli occhi stanchi,
     Stanchi dal pianto homai, ma de la vista
     Di si ricco thesor non stanchi mai.
Qui Borea piu s’accese et benche certo
     Le speranze d’amor vane et fallaci
     Piu farsi all’hor che certe huom crede e estima,
     Non pero si ritien, ma s’avicina,
     (Appresso piu che mai crescendo il fuoco)
     A lei quanto si puo, non senza speme
     Che piu se aviva à chi piu forte muore,
Ma perche dove è gran bellezza, alberga
     Superbo sdegno, et orgogliosa mente,


B