Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
LA FAVOLA |
Et chiara à pochi gia fuor ch’al Peneo
Homai nota si faccia al Tebro e à l’Arno.
Pyti già figlia de l’antica madre,
Bella, quanto altra, à cui piu largo dono
Fè del ben di la sù l’alta natura,
Era da Pan, dio de l’Arcadia, amata
Con si nuovo cocente immenso ardore,
Che simil fuoco le midolle interne
A puochi arse gia mai, si in mezzo il core,
Ei stampate tenea le pellegrine
Fattezze à quelle (oime) simili, i credo
Di ch’Amor la memoria ogni hor me informa,
Et vuol che l’alma ad adorare inchini,
O quante volte udi per lei Liceo
Sospirare il suo dio, quante lo vide,
Seguir di Pyti le vestigia sparse?
Tronco non era in quercia alpestra, o’n faggio,
In cui non fosse il suo bel nome impresso
Et chiaro à nimphe à Fauni, e l’alma Pale.
Ma non molto dapoi che lei seguendo
Il Dio Cornuto si struggea d’intorno,
Era la vaga Nimpha in se raccolta
Con romito pensier sott’un Cipresso,
L’ardor fuggendo con che Sirio acceso
Facea per le campagne espresso oltraggio,
Onde pel viso candido et gentile.