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interesserà. È il suo capolavoro e potrete farvi un’idea dei racconti d’oggidì».

Stetti alzato tutta la notte, e quando l’alba biancheggiò, io leggevo ancora la Penthesilia; non volli riporre il libro prima di averlo terminato. Prego gli ammiratori del gran romanziere del secolo XX, di non adirarsi meco se dico che fui meno colpito da ciò che trovai nel libro, che da ciò che non vi trovai.

Gli scrittori di novelle, miei contemporanei, avrebbero pensato che il fare un mattone senza paglia, era un lavoro facile paragonato alla composizione di un racconto, in cui mancassero tutti gli effetti, derivanti dal contrasto fra la ricchezza e la povertà, fra l’istruzione e l’ignoranza, la rozzezza e l’ingentilimento, l’alterigia e la bassezza; dai vari motivi di orgoglio e di ambizione sociale, dal desiderio di arricchirsi, o dal timore di divenir più povero, come pure da tutte quelle cure minori per sè o per gli altri. Un racconto nel quale non v’è che amore: ma un amore che è senza limiti artificiali, e che non è ispirato dalla differenza di posizione o di fortuna, non riconosce altra legge che quella del cuore. La lettura del Penthesilia valse assai più che non tutte le spiegazioni che mi avevan dato un’idea generale dello stato sociale del ventesimo secolo. I ragguagli datimi dal dottor Leete erano stati ampi invero, ma non mi avevano lasciato che singoli impressioni il cui nesso non mi era ancora ben chiaro.

Il Berrian mi presentò queste impressioni come in un quadro.


CAPITOLO SEDICESIMO




Quella mattina mi alzai poco prima di colazione. Mentre scendevo le scale, Editta uscì dalla stanza ove era avvenuto quel nostro incontro, del quale parlai in uno dei capitoli precedenti, ed entrò nell’antisala.

«Ah!» esclamò con un’espressione leggiadramente scherzosa,