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CAPITOLO TREDICESIMO




Come Editta mi aveva promesso, il dottor Leete quando mi ritirai, mi accompagnò nella mia stanza da letto, per indicarmi l’uso del telefono musicale; egli mi mostrò come, per mezzo d’una vite più o meno girata, la musica riempiva la camera e si perdeva come un’eco, sì debole e lontana da far dubitare se la si sentisse realmente o se fosse effetto d’immaginazione. Quando due persone abitavano una stessa stanza e di queste una desiderava udir musica e l’altra dormire, si poteva render per l’una la musica udibile, e per l’altra ridurla impercettibile.

«Vi consiglio seriamente di dormire questa notte, signor West, e di rinunciare anche alla miglior musica», disse il dottore dopo avermi spiegato tutto. «Ora che subite tante prove faticose, vi è necessario il sonno, esso vi procura un rinvigorimento di nervi, pel quale non v’è compenso».

Memore di ciò che m’era accaduto la mattina stessa, promisi di seguire il suo consiglio.

«Così va bene», disse egli, «metterò il telefono sulle otto».

«Che cosa significa ciò?» domandai.

Egli mi spiegò che mediante le ruote d’un orologio, si poteva fare in modo da essere svegliati dalla musica all’ora prefissa.

Pare, a quanto constatai completamente in seguito, che la mia disposizione all’insonnia e tutti gli inconvenienti della vita, fossero rimasti nel secolo decimonono, poichè, quantunque non avessi preso nessun narcotico, mi addormentai, appena posata la testa sui cuscini. Sognai di sedere sul trono degli Abenceragi e davo una festa ai grandi ed ai generali pronti a partire l’indomani per combattere i cristiani di Spagna. L’aria, rinfrescata dallo spruzzo delle fontane, era imbalsamata dal dolce profumo dei fiori; agili fanciulle dalle labbra seducenti danzavano graziosamente al suono degl’istrumenti a corda, e sulla galleria una bella