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rebbe la sua antica vita per non curarsi che della nuova? Tutto ciò che io posso dire dopo averne fatta l’esperienza, si è che la seconda ipotesi mi par la più giusta.
Lo stupore e la curiosità che la mia vista produsse in tutti quelli che mi circondavano, mi occuparono talmente che, passata la prima sorpresa, non potei pensare ad altro. Per il momento si spensero tutti i ricordi della mia vita passata.
Appena mi sentii fisicamente meglio, desiderai tornare sul terrazzo, e poco dopo, il mio ospite ed io eravamo lassù, sdraiati in comode sedie e circondati dalla città. Dopo che il dottor Leete ebbe risposto alle mie domande sulla sorte di vari edifizi che più non vedevo, mi chiese che impressione mi facesse il paragone fra la città nuova e la vecchia.
«Cominciando a parlare delle cose di poca entità,» risposi, «mi stupisce assai il non vedere nè fumajoli, nè fumo».
«Ah!» esclamò con grande interesse il mio compagno, «avevo dimenticato i fumajuoli, è da tanto tempo che han cessato di esistere. Son quasi cento anni che abbiam cambiato il metodo di riscaldamento».
«Ciò che mi impressiona maggiormente», dissi, «è il benessere materiale della popolazione che s’indovina dallo splendore della città».
«Pagherei volentieri qualche cosa», replicò il dottor Leete, «per poter dare un’occhiata alla Boston dei tempi vostri. Senza dubbio le città d’allora erano assai miserabili. Se aveste voluto migliorare il loro stato, credo che i mezzi vi sarebbero mancati, visto il sistema industriale che era allora in uso e che aveva per risultato una gran povertà. Inoltre l’idealismo che allora regnava non andava troppo d’accordo collo spirito del bene comune. La piccola ricchezza di cui eravate padroni, veniva spesa in lusso privato. Oggi invece, il superfluo vien speso per abbellire la città; spesa che reca profitto a tutti.»
Quando eravamo venuti sul terrazzo, il sole era già tramontato e mentre discorrevamo s’era fatto notte.
«Si fa scuro,» disse il dottor Leete, «rientriamo in casa, devo presentarvi a mia moglie e a mia figlia.